" INTERVISTA ALL'AUTRICE TOSCA PAGLIARI "
Gentile Tosca Pagliari, ringraziandola per aver accettato di rilasciare noi questa spettacolare intervista, e il suo meraviglioso essersi dilungata con le sue vibranti nell'animo " parole scritte del cuore ", postiamo qui di seguito il tutto:
1°domanda: Tosca, cosa significa per te la parola " Scrivere "
Risposta: Scrivere significa ampliare la possibilità di vivere, mentre chi scrive si crea una dimensione parallela nella quale si può proiettare un mondo d'idee, sentimenti, ricordi..., il tutto sotto una personale regia.
Risposta: Scrivere significa ampliare la possibilità di vivere, mentre chi scrive si crea una dimensione parallela nella quale si può proiettare un mondo d'idee, sentimenti, ricordi..., il tutto sotto una personale regia.
2° domanda:Chi è Tosca Pagliari, prima di essere una scrittrice ?
Risposta:
Amo definirmi, con un termine inventato da me stessa: "scrilingante", dove "scri" sta per "scrivente" dato che quello più altisonante di "scrittrice" preferisco lasciarlo alle grandi personalità del settore; "ling" sta per "casalinga" poichè ho la mia vita privata, la mia famiglia, i miei affetti, le mie faccende quotidiane"; "ante" sta per "insegnante", è questo il mio lavoro, che svolgo con molto piacere e completa il mio quadro di vita. Non sono una "prof", insegno alla scuola primaria e non lo cambierei con nessun altro grado di scuola. Aprire il varco ai primi rudimenti scolastici nelle giovani menti è qualcosa di prodigioso, come una maternità continua alla cultura.
Amo definirmi, con un termine inventato da me stessa: "scrilingante", dove "scri" sta per "scrivente" dato che quello più altisonante di "scrittrice" preferisco lasciarlo alle grandi personalità del settore; "ling" sta per "casalinga" poichè ho la mia vita privata, la mia famiglia, i miei affetti, le mie faccende quotidiane"; "ante" sta per "insegnante", è questo il mio lavoro, che svolgo con molto piacere e completa il mio quadro di vita. Non sono una "prof", insegno alla scuola primaria e non lo cambierei con nessun altro grado di scuola. Aprire il varco ai primi rudimenti scolastici nelle giovani menti è qualcosa di prodigioso, come una maternità continua alla cultura.
3° domanda: Tosca, che letture preferisci, quali ti hanno cambiato la vita e quali autori anche ti hanno cambiato la vita, i tuoi preferiti ?
Risposta:
Risposta:
In quanto a letture preferisco essere onnivora, sebbene tendo alla narrativa ed in particolar modo ai romanzi generazionali o in ogni modo che si svolgono su uno sfondo storico a largo raggio. Intorno ai vent'anni lessi "Uccelli di rovo" di Colleen McCullough, quello fu uno dei primi romanzi che mi entusiasmò, al di là della versione cinematografica vista molti anni dopo e tinta un po' con i toni della telenovela. Altri romanzi che mi hanno molto toccato: "La casa degli spiriti" di Isabel Allende", " Va dove ti porta il cuore" di Susanna Tamaro, "Le ceneri di Angela" di Frank McCourt, " Un cappello pieno di ciliegie" di Oriana Fallaci ( uscito circa sei mesi dopo il romanzo "Le foto salvate") e di recente "Venuto al mondo" Margaret Mazzantini", " Canale Mussolini" di Antonio Pennacchi, " Accabbadora" di Michela Murgia. Questi sono i libri che al momento mi sono saltati in mente, magari pensandoci un po' più a fondo potrebbero essercene anche degli altri. Non credo che un libro possa cambiare la vita, ma arricchirla questo sì, darti la possibilità di pensare e vedere da un'angolazione che non è la tua, lasciarti un messaggio, soprattutto quello. Un libro che non lascia un messaggio con dei valori, con delle riflessioni, con una profonda commozione credo che non valga gran che nonostante molte mode del momento.
4° domanda: Tosca, cosa pensi in merito agli editori che richiedono un contributo o un minimo acquisto copie per la pubblicazione di un libro ?
Risposta:Questa quarta domanda mette il dito sulla piaga. Credo che la letteratura italiana stia molto scadendo, vedi da quanti anni un autore italiano non riuscuote un premio nobel in questo settore. Il fatto è che l'editoria non è più una fucina di talenti ma un mercato affaristico e basta.. A questo aggiungi le manovre promozionali dello sfruttamento dei nomi "prestigiosi" di personaggi sulla cresta dell'onda. Aggiungi ancora l'illusione indiscriminata di tutti coloro che sono pronti a sborsare una cifra pur di pubblicare, aggiungi l'ignoranza di chi è nuovo del settore e brancolando è facile che si lasci incantare. Come risultato ogni minuto viene pubblicata una marea di libri senza pubblicità, senza attenzione, senza avvenire e in mezzo alle insulsaggini magari navigano capolavori sconosciuti. Le grosse case editrici fanno il bello e il cattivo tempo, se entri in una libreria trovi cataste di libri delle propaganda del momento e se sfogli riviste e quotidiani pubblicità ad iosa, tutto il resto galleggia nel dimenticatoio. E' vero che c'è il passaparola e c'è anche questo grande strumento della comunicazione in rete, eppure non credo riesca a fare più di tanto perchè se poi entri in libreria il prodotto non c'è, lo devono ordinare, magari passa del tempo e sai come si dice "cogli l'attimo". Comunque mai disperare fino in fondo, anche questa intervista è un'occasione.
Risposta:Questa quarta domanda mette il dito sulla piaga. Credo che la letteratura italiana stia molto scadendo, vedi da quanti anni un autore italiano non riuscuote un premio nobel in questo settore. Il fatto è che l'editoria non è più una fucina di talenti ma un mercato affaristico e basta.. A questo aggiungi le manovre promozionali dello sfruttamento dei nomi "prestigiosi" di personaggi sulla cresta dell'onda. Aggiungi ancora l'illusione indiscriminata di tutti coloro che sono pronti a sborsare una cifra pur di pubblicare, aggiungi l'ignoranza di chi è nuovo del settore e brancolando è facile che si lasci incantare. Come risultato ogni minuto viene pubblicata una marea di libri senza pubblicità, senza attenzione, senza avvenire e in mezzo alle insulsaggini magari navigano capolavori sconosciuti. Le grosse case editrici fanno il bello e il cattivo tempo, se entri in una libreria trovi cataste di libri delle propaganda del momento e se sfogli riviste e quotidiani pubblicità ad iosa, tutto il resto galleggia nel dimenticatoio. E' vero che c'è il passaparola e c'è anche questo grande strumento della comunicazione in rete, eppure non credo riesca a fare più di tanto perchè se poi entri in libreria il prodotto non c'è, lo devono ordinare, magari passa del tempo e sai come si dice "cogli l'attimo". Comunque mai disperare fino in fondo, anche questa intervista è un'occasione.
5°domanda:
Tosca, parlaci un pò del tuo romanzo " Le Foto Salvate "
Risposta:Il mio romanzo "Le foto salvate" è stato pubblicato nel 2008 da A&B.. Si tratta di una saga familiare di due rami paralleli che a un certo punto si fondono. Inizia nel 1860 con una baronessa siciliana giovanissima e ribelle, la quale, con gesto avventato per quei tempi, cambia il suo destino e quello di tutta la sua discendenza. Parallelamente un garibaldino toscano partecipa allo sbarco dei Mille, ma nulla avrà a che vedere con la baronessa, solo dopo diverse generazioni avverrà un incontro che darà origine alla protagonista: Ada. Tutta la narrazione ha come spunto il ritrovamento di un album di vecchie foto all'interno di un'abitazione in rovina. Foto nascoste da una bambina quasi per gioco, ma proprio per questo salvate e giunte alla donna che è poi diventata attraverso eventi rocamboleschi. Anche la casa che ha custodito le foto diventa un personaggio tra i personaggi, è dotata di un animo proprio ed è capace di rievocare immagini, odori, sapori, rumori. Il tutto si svolge sullo sfondo della grande Storia, nella quale gli svariati personaggi inseriscono le loro vicende personali condizionandola ed essendone a loro volta condizionati. Ognuno porta in sè qualcosa di chi prima di lui è stato in una sorta di passaggi di temperamenti, destini, tendenze, ma alla fine ognuno dà una svolta personale riappropriandosi del proprio destino. Anche a questo giunge la protagonista adolescente alle soglie degli anni Settanta dove il racconto degli eventi si conclude, ma ancora scorrono altre pagine che danno un assetto definitivo a tutto il romanzo. Una caratterisca di questo romanzo è il risalto ai dialetti regionali della Sicilia e della Toscana ( tradotti a piè di pagina) attraverso i quali i personaggi si esprimono mettendo in risalto la loro mentalità ed il loro modo di essere. Chi lo ha letto e mi ha potuto riferire ha detto di aver pianto, riso e meditato ed io credo che la vita sia in fondo questo un misto tragico-comico su cui riflettere e migliorare. Non sarà certo il mio romanzo che cambierà la vita a qualcuno, ma credo che abbia glii ingredienti adatti per lasciare un buon messaggio.
Risposta:Il mio romanzo "Le foto salvate" è stato pubblicato nel 2008 da A&B.. Si tratta di una saga familiare di due rami paralleli che a un certo punto si fondono. Inizia nel 1860 con una baronessa siciliana giovanissima e ribelle, la quale, con gesto avventato per quei tempi, cambia il suo destino e quello di tutta la sua discendenza. Parallelamente un garibaldino toscano partecipa allo sbarco dei Mille, ma nulla avrà a che vedere con la baronessa, solo dopo diverse generazioni avverrà un incontro che darà origine alla protagonista: Ada. Tutta la narrazione ha come spunto il ritrovamento di un album di vecchie foto all'interno di un'abitazione in rovina. Foto nascoste da una bambina quasi per gioco, ma proprio per questo salvate e giunte alla donna che è poi diventata attraverso eventi rocamboleschi. Anche la casa che ha custodito le foto diventa un personaggio tra i personaggi, è dotata di un animo proprio ed è capace di rievocare immagini, odori, sapori, rumori. Il tutto si svolge sullo sfondo della grande Storia, nella quale gli svariati personaggi inseriscono le loro vicende personali condizionandola ed essendone a loro volta condizionati. Ognuno porta in sè qualcosa di chi prima di lui è stato in una sorta di passaggi di temperamenti, destini, tendenze, ma alla fine ognuno dà una svolta personale riappropriandosi del proprio destino. Anche a questo giunge la protagonista adolescente alle soglie degli anni Settanta dove il racconto degli eventi si conclude, ma ancora scorrono altre pagine che danno un assetto definitivo a tutto il romanzo. Una caratterisca di questo romanzo è il risalto ai dialetti regionali della Sicilia e della Toscana ( tradotti a piè di pagina) attraverso i quali i personaggi si esprimono mettendo in risalto la loro mentalità ed il loro modo di essere. Chi lo ha letto e mi ha potuto riferire ha detto di aver pianto, riso e meditato ed io credo che la vita sia in fondo questo un misto tragico-comico su cui riflettere e migliorare. Non sarà certo il mio romanzo che cambierà la vita a qualcuno, ma credo che abbia glii ingredienti adatti per lasciare un buon messaggio.
6° domanda: Tosca, hai scritto qualcos'altro, hai qualcosa in cantiere ? Se si ce ne vuoi parlare ?
Risposta:
Risposta:
Della mia vita non amo raccontare molto. La gente se pensa di potermi apprezzare lo deve fare per quello che produco e non per chi sono nella mia sfera privata. Posso comunque esprimere quel che amo e quel che odio. Amo la mia famiglia, la natura, i bambini, gli animali,le opere d'arte, la letteratura, la gente semplice, l'educazione intesa in tutti i sensi. Odio l'ipocrisia, i perbenismi, i compromessi, gli arrivismi. E con questo atteggiamento non sarò mai una scrittrice famosa, ma in fondo in fondo non m'interessa poi neanche così tanto diventarlo, del resto vivo felice facendo la scrivente
7°domanda:
Tosca, secondo te in Italia, come nel resto del mondo, si scrive più per se stessi o più per essere pubblicati ?
Risposta:Non so con quale spirito possano scrivere gli altri. Io ho sempre scritto per me stessa. Scrivo da quando ho imparato a farlo, è sempre stato il mio gioco preferito e come un gioco, una volta concluso, ho eliminato il giocattolo vecchio per rincorrerne uno nuovo. In sostanza mi disfacevo sempre di quello che poi producevo. Questo fino al romanzo "Le foto salvate", miracolosamente si è salvato anche il manoscritto. In un pomeriggio d'estate avevo iniziato questo gioco in età piuttosto matura e mi veniva bene tanto che scribacchiando di qua e di là ho dato corpo a tutta l'opera. In seguito ci sono stati tutti i lavori di aggiustamento e limatura e mentre questi erano in corso i miei familiari si sono incuriositi e hanno cominciato a leggere. Il loro giudizio era molto lusinghiero, ma credevo fosse dovuto più ad una questione affettiva che ai reali merito dello scritto, così sono passata a far leggere il manoscirtto agli amici, agli amici degli amici e così via, finchè mi hanno convinta alla pubblicazione. Di una cosa sono certa, se l'avessi scritto pensando di pubblicarlo, non credo mi sarebbe venuto così, magari sarebbe stato più costruito, più banale, più asettico. Io non credo nei corsi di scrittura creativa, mi sembrano un mercato anche quelli, se uno ce l'ha dentro lo spirito di scrivere e sa scrivere perchè ha avuto un'istruzione, allora non c'è bisogno d'altro. Non credo neanche nei libri confezionati a comando per tenere in considerazione quello che gli addetti alla critica letteraria definiscono "l'odierno dibattito". Si scrive bene quel che si sente dentro, non quello che viene spinto dal di fuori.
Risposta:Non so con quale spirito possano scrivere gli altri. Io ho sempre scritto per me stessa. Scrivo da quando ho imparato a farlo, è sempre stato il mio gioco preferito e come un gioco, una volta concluso, ho eliminato il giocattolo vecchio per rincorrerne uno nuovo. In sostanza mi disfacevo sempre di quello che poi producevo. Questo fino al romanzo "Le foto salvate", miracolosamente si è salvato anche il manoscritto. In un pomeriggio d'estate avevo iniziato questo gioco in età piuttosto matura e mi veniva bene tanto che scribacchiando di qua e di là ho dato corpo a tutta l'opera. In seguito ci sono stati tutti i lavori di aggiustamento e limatura e mentre questi erano in corso i miei familiari si sono incuriositi e hanno cominciato a leggere. Il loro giudizio era molto lusinghiero, ma credevo fosse dovuto più ad una questione affettiva che ai reali merito dello scritto, così sono passata a far leggere il manoscirtto agli amici, agli amici degli amici e così via, finchè mi hanno convinta alla pubblicazione. Di una cosa sono certa, se l'avessi scritto pensando di pubblicarlo, non credo mi sarebbe venuto così, magari sarebbe stato più costruito, più banale, più asettico. Io non credo nei corsi di scrittura creativa, mi sembrano un mercato anche quelli, se uno ce l'ha dentro lo spirito di scrivere e sa scrivere perchè ha avuto un'istruzione, allora non c'è bisogno d'altro. Non credo neanche nei libri confezionati a comando per tenere in considerazione quello che gli addetti alla critica letteraria definiscono "l'odierno dibattito". Si scrive bene quel che si sente dentro, non quello che viene spinto dal di fuori.
8°domanda:
Tosca, raccontaci un pò della tua vita, quali sono le tue abitudini e le cose che ami e quelle che odi.
Risposta:
Risposta:
Della mia vita non amo raccontare molto. La gente se pensa di potermi apprezzare lo deve fare per quello che produco e non per chi sono nella mia sfera privata. Posso comunque esprimere quel che amo e quel che odio. Amo la mia famiglia, la natura, i bambini, gli animali,le opere d'arte, la letteratura, la gente semplice, l'educazione intesa in tutti i sensi. Odio l'ipocrisia, i perbenismi, i compromessi, gli arrivismi. E con questo atteggiamento non sarò mai una scrittrice famosa, ma in fondo in fondo non m'interessa poi neanche così tanto diventarlo, del resto vivo felice facendo la scrivente.
9°domanda:
In questo momento, dove credi ti sita portando la " scrittura "
Risposta:Dove mi stia portando la scrittura in questo momento credo d'averlo anticipato in una risposta precedente, posso solo aggiungere che il libro stampato nell'arco di poco tempo non avrà più una grande fortuna. Primo perchè le nuove generazioni si stanno appropriando di modalità d'apprendimento e d'intrattenimento che più che dalla carta passano dal web. Secondo quando la massa degli appassionati di scrittura via via aprirà gli occhi dai sistemi editoriali dirotterà sempre.
10°domanda:Tosca, perfavore puoi trascriverci qui di seguito un brano, anche un breve spezzone o la quarta di copertina del tuo libro dal titolo " LE FOTO SALVATE ".
Risposta:
Risposta:
Sulla quarta di copertina del mio libro si legge questo sunto di trama:Come è possibile scindere l'essere più intimo di una persona da quello che essa ha effettivamente vissuto, da un passato di incontri, di luoghi, di odori, di parole che lo hanno plasmato? Questo Ada cerca di fare nel raccontarsi ai suoi quattro figli, davanti a una casa, la Casa della sua infanzia, che è solo un edificio, anche poco accogliente, agli occhi del suo uditorio. Ma proprio le "foto salvate" dal nuovo acquirente della sua vecchia casa, che egli così gentilmente le restituisce, la portano indietro nel tempo e, dai recessi della memoria, una parte del suo passato, riemerge, strappando immagini e ricordi alla polvere e all'oblio, ora finalmente Ada può parlare ai suoi figli, può raccoglierli intorno a sé, abbracciarli con lo sguardo, mostrare loro le "foto salvate" e cominciare a raccontare In quanto al brano vi invio la prefazione: "Anche le case hanno un’anima e dei sentimenti assorbiti da tutti i loro abitanti, in special modo se di diverse generazioni.
Che pena! Com’era affranta per l’ umiliazione subita quella casa in catene! Attorniata da campi aridi, se ne stava lì umida e sbiadita, quasi cadente. Come se fosse stata punita per aver rinchiuso echi garruli di bimbi, sospiri adolescenziali, sussurri di segreti, canti di gioventù, pianti disperati, alterchi sostenuti, grida di rabbia e spettrali silenzi.
Punita per aver lasciato che lì dentro si corresse, si amasse, ci si affaccendasse, ci si riposasse, a volte, anche per sempre. Tutto questo adesso lo doveva scontare, muta nella sua prigionia.
Nessuna anima viva poteva entrarvi, nessun fantasma uscirne.
Nessuna bimba poteva oltrepassare il cancello grande e correre lungo la discesa. La casa così rinserrata da sigilli e lucchetti non poteva più invitarla per lasciarsi percorrere, frugare, odorare, amare. Di tutto era stata svuotata, ma nella fessura segreta del sottoscala era rimasto quel che la bimba aveva nascosto, quel che la donna lì fuori non ricordava più d’aver fatto.
I figli di Ada guardavano la casa con aria perplessa come per dire:” E’ tutta lì? Che ci hai portato a vedere? “. Il più piccolo osò palesare: “ Che casa vecchia! “
La casa sembrò non sorprendersi, né tanto meno offendersi, forse ebbe solo il rammarico di non poter sentire lo scalpiccio di quei piedini nuovi, di non poter accogliere tutta l’ ultima fresca generazione che se ne stava lì fuori a guardarla quasi con indifferenza.
Ada avrebbe pianto volentieri, ma non lo fece per una forma di ritegno verso chi le stava intorno. Loro che ne sapevano? Erano entrati a vedere un film con una proiezione iniziata già da tempo e l’immagine della casa non era in grado di svelare gran che della trama già svolta. Forse se ci fossero state le foto, da sole non sarebbero bastate, ma avrebbero detto qualcosa. Se solo non fosse andata distrutta ogni cosa!
La casa restava incatenata ai sigilli dello sfratto e Ada non riusciva a riassumere le emozioni di una vita legata a tante altre. L’aveva perduta per sempre e con essa, forse, la sua stessa identità.
Non passarono molti anni che accadde un evento straordinario. Forse ogni casa ha davvero i sui Lari protettori o chissà quali altri benevoli spiritelli.
Ada non ci aveva creduto del tutto finché non se le era ritrovate tra le mani: sporche, scolorite, spiegazzate, graffiate, rosicchiate, marcite, ma la maggior parte incredibilmente intatte, erano le foto di un passato che riemergeva"
Che pena! Com’era affranta per l’ umiliazione subita quella casa in catene! Attorniata da campi aridi, se ne stava lì umida e sbiadita, quasi cadente. Come se fosse stata punita per aver rinchiuso echi garruli di bimbi, sospiri adolescenziali, sussurri di segreti, canti di gioventù, pianti disperati, alterchi sostenuti, grida di rabbia e spettrali silenzi.
Punita per aver lasciato che lì dentro si corresse, si amasse, ci si affaccendasse, ci si riposasse, a volte, anche per sempre. Tutto questo adesso lo doveva scontare, muta nella sua prigionia.
Nessuna anima viva poteva entrarvi, nessun fantasma uscirne.
Nessuna bimba poteva oltrepassare il cancello grande e correre lungo la discesa. La casa così rinserrata da sigilli e lucchetti non poteva più invitarla per lasciarsi percorrere, frugare, odorare, amare. Di tutto era stata svuotata, ma nella fessura segreta del sottoscala era rimasto quel che la bimba aveva nascosto, quel che la donna lì fuori non ricordava più d’aver fatto.
I figli di Ada guardavano la casa con aria perplessa come per dire:” E’ tutta lì? Che ci hai portato a vedere? “. Il più piccolo osò palesare: “ Che casa vecchia! “
La casa sembrò non sorprendersi, né tanto meno offendersi, forse ebbe solo il rammarico di non poter sentire lo scalpiccio di quei piedini nuovi, di non poter accogliere tutta l’ ultima fresca generazione che se ne stava lì fuori a guardarla quasi con indifferenza.
Ada avrebbe pianto volentieri, ma non lo fece per una forma di ritegno verso chi le stava intorno. Loro che ne sapevano? Erano entrati a vedere un film con una proiezione iniziata già da tempo e l’immagine della casa non era in grado di svelare gran che della trama già svolta. Forse se ci fossero state le foto, da sole non sarebbero bastate, ma avrebbero detto qualcosa. Se solo non fosse andata distrutta ogni cosa!
La casa restava incatenata ai sigilli dello sfratto e Ada non riusciva a riassumere le emozioni di una vita legata a tante altre. L’aveva perduta per sempre e con essa, forse, la sua stessa identità.
Non passarono molti anni che accadde un evento straordinario. Forse ogni casa ha davvero i sui Lari protettori o chissà quali altri benevoli spiritelli.
Ada non ci aveva creduto del tutto finché non se le era ritrovate tra le mani: sporche, scolorite, spiegazzate, graffiate, rosicchiate, marcite, ma la maggior parte incredibilmente intatte, erano le foto di un passato che riemergeva"
Primo Capitolo: "La baronessa" :
Tra la fine d’aprile ed i primi di maggio, nella terra di Sicilia, sulle colline che dall’ Etna degradano verso lo Ionio, ci sono sempre stati odori così intensi e struggenti, che impregnano l’aria e l’anima. Sono una mistura di zagare, glicini, rose, gelsomini e gardenie. Sul calar della sera, esalano un’essenza rara capace di alimentare malinconie e passioni tali da predisporre a nottate dove tutto appare possibile.
La giovane baronessa se ne stava diritta, com’era sua postura, sul soglio di pietra lavica e lasciava che quegli odori le inondassero le narici, il cuore, la mente, il più profondo del suo spirito forte e ribelle, e, intanto, fremeva dentro di sé pur in quella immobilità estatica, che esaltava la sua statuaria bellezza saracena.
Concetta Nucifora stava per compiere quindici anni alla fine d’aprile nell’anno 1860 ed era già ritenuta in età da marito.
Da tempo, i genitori avevano scelto per lei un barone d’Acireale, vedovo e avanti con gli anni, ma così tanto agiato da far vociferare al popolino che le sue proprietà terriere non le conoscesse tutte neanche lui.
Lo sposalizio era fissato per i primi di maggio ed in quella sera d’aprile, vigilia del suo compleanno, Concetta aveva la sensazione che il tempo scandisse ad un ritmo più veloce dei battiti del suo cuore fremente e rivoltoso.
No, non poteva andare così, lei aveva tutto il diritto di cambiare qualcosa, di dominare in qualche modo le scelte della sua vita.
Sentiva come una febbre addosso, un bollore che si propagava fino alle gote olivastre riuscendo a conferire un’insolita sfumatura rosea al suo incarnato ed un rosso accesso alle labbra carnose. Gli occhi nerissimi mandavano bagliori sotto il ventaglio delle lunghe ciglia scure. I capelli anch’essi così neri da riflettere in un cupo tono di blu ricadevano lisci e sciolti fino alla vita conferendole un non so che di selvaggio insieme agli scarni piedi scalzi. Se non fosse stato per l’atteggiamento fiero e il lindore della bianca camicia da notte di lino pregiato sarebbe apparsa come una contadina qualunque in attesa del sacrificio dello “ius primae noctis”.
…Ius primae noctis…Ius primae noctis… Ecco qualcosa poteva cambiare… Poteva… Sì, che poteva!...
A quel pensiero le si schiusero le labbra in un sorriso, mellifluo e crudele al tempo stesso, su denti grandi e bianchissimi non perfettamente allineati, ma con un’armonia tale pur nell’irregolarità che nulla toglieva al suo fascino.
…Ecco cosa poteva cambiare!... E la magra figura si scosse da quella immobilità allorché provò sensazioni quasi simultanee di caldo e di freddo, di freddo e di caldo,che andavano da dietro la nuca, al lungo collo, alla schiena diritta per fermarsi sul ventre, talmente piatto da apparire leggermente concavo, e lì era come l’afferrare di una mano in una morsa stretta fino a togliere il respiro.
…Ecco cosa poteva cambiare!… Il pensiero della trasgressione le accelerò sempre più il respiro ed i piccoli seni palpitarono, facendo leggermente ondeggiare la pettorina della camiciola ricamata a sfilato siciliano del cinquecento.
Forse una voce sembrò chiamarla. Forse. Tanto non le diede alcun ascolto. Tanto ormai aveva ben altro da realizzare. Era una nobile e non doveva sottostare a nessun signorotto lascivo per pagare il prezzo delle sue nozze.. In compenso poteva riscattarsi dal suo matrimonio forzato rivoltando la situazione e scegliendo di concedersi al più bel bifolco delle tenute paterne prima di soggiacere ai doveri coniugali con il barone d’Acireale, che era vecchio, bavoso e mingherlino. Eppure, a parer dei suoi genitori, doveva ritenersi onorata e fortunata di non doversi rinchiudere in un convento come sarebbe toccato in sorte alle sorelle nate dopo di lei.
Ecco cosa poteva cambiare!
E siccome le cose andavano pensate e fatte, più fatte che pensate, così voleva che fosse e così fu.
Le era venuto in mente Nunzio lo stalliere, che aveva solo pochi anni più di lei, le spalle larghe, le gambe tozze, le mani grandi, il volto stupendo d’avorio ambrato con grandi occhi azzurri e un’aureola di riccioli dorati. Nunzio con il suo volto da normanno e il corpo da sicano sarebbe sembrato la statua vivente dell’Arcangelo Gabriele della Chiesa Madre se gli si fossero tolti i luridi stracci e fatto indossare una tunica di lino come la sua. Ma Nunzio era nato nella plebaglia, anche se magari poteva essere benissimo figlio di qualche signore che si era tolto lo sfizio con la serva.
…Nunzio…Nunzio…Nunzio…Sì, proprio lui !…
Bisognava correre, il crepuscolo aveva lasciato il posto alla notte tiepida e tranquilla, i profumi nell’aria diventavano fragranza magica, era tempo d’osare.
Nunzio dormiva nella stalla, mangiava nella stalla, lì era il suo regno.
Se ne stava sdraiato sul pagliericcio e già era del tutto preso dall’oblio del riposo, poiché, per sua abitudine, si alzava ai primi bagliori mattutini e s’addormentava alle prime ombre della sera, sempre attento a non sprecare neanche un granello del prezioso tempo dedicato al lavoro quotidiano. Nessuno avrebbe dovuto dire che lui campava a sbafo nelle terre del suo padrone. Stanco poi dormiva di schianto, senza nemmeno sognare perché anche i sogni spesso tolgono il riposo. Se così non fosse stato mai si sarebbe perso in un fatto simile.
La giovane baronessa se ne stava diritta, com’era sua postura, sul soglio di pietra lavica e lasciava che quegli odori le inondassero le narici, il cuore, la mente, il più profondo del suo spirito forte e ribelle, e, intanto, fremeva dentro di sé pur in quella immobilità estatica, che esaltava la sua statuaria bellezza saracena.
Concetta Nucifora stava per compiere quindici anni alla fine d’aprile nell’anno 1860 ed era già ritenuta in età da marito.
Da tempo, i genitori avevano scelto per lei un barone d’Acireale, vedovo e avanti con gli anni, ma così tanto agiato da far vociferare al popolino che le sue proprietà terriere non le conoscesse tutte neanche lui.
Lo sposalizio era fissato per i primi di maggio ed in quella sera d’aprile, vigilia del suo compleanno, Concetta aveva la sensazione che il tempo scandisse ad un ritmo più veloce dei battiti del suo cuore fremente e rivoltoso.
No, non poteva andare così, lei aveva tutto il diritto di cambiare qualcosa, di dominare in qualche modo le scelte della sua vita.
Sentiva come una febbre addosso, un bollore che si propagava fino alle gote olivastre riuscendo a conferire un’insolita sfumatura rosea al suo incarnato ed un rosso accesso alle labbra carnose. Gli occhi nerissimi mandavano bagliori sotto il ventaglio delle lunghe ciglia scure. I capelli anch’essi così neri da riflettere in un cupo tono di blu ricadevano lisci e sciolti fino alla vita conferendole un non so che di selvaggio insieme agli scarni piedi scalzi. Se non fosse stato per l’atteggiamento fiero e il lindore della bianca camicia da notte di lino pregiato sarebbe apparsa come una contadina qualunque in attesa del sacrificio dello “ius primae noctis”.
…Ius primae noctis…Ius primae noctis… Ecco qualcosa poteva cambiare… Poteva… Sì, che poteva!...
A quel pensiero le si schiusero le labbra in un sorriso, mellifluo e crudele al tempo stesso, su denti grandi e bianchissimi non perfettamente allineati, ma con un’armonia tale pur nell’irregolarità che nulla toglieva al suo fascino.
…Ecco cosa poteva cambiare!... E la magra figura si scosse da quella immobilità allorché provò sensazioni quasi simultanee di caldo e di freddo, di freddo e di caldo,che andavano da dietro la nuca, al lungo collo, alla schiena diritta per fermarsi sul ventre, talmente piatto da apparire leggermente concavo, e lì era come l’afferrare di una mano in una morsa stretta fino a togliere il respiro.
…Ecco cosa poteva cambiare!… Il pensiero della trasgressione le accelerò sempre più il respiro ed i piccoli seni palpitarono, facendo leggermente ondeggiare la pettorina della camiciola ricamata a sfilato siciliano del cinquecento.
Forse una voce sembrò chiamarla. Forse. Tanto non le diede alcun ascolto. Tanto ormai aveva ben altro da realizzare. Era una nobile e non doveva sottostare a nessun signorotto lascivo per pagare il prezzo delle sue nozze.. In compenso poteva riscattarsi dal suo matrimonio forzato rivoltando la situazione e scegliendo di concedersi al più bel bifolco delle tenute paterne prima di soggiacere ai doveri coniugali con il barone d’Acireale, che era vecchio, bavoso e mingherlino. Eppure, a parer dei suoi genitori, doveva ritenersi onorata e fortunata di non doversi rinchiudere in un convento come sarebbe toccato in sorte alle sorelle nate dopo di lei.
Ecco cosa poteva cambiare!
E siccome le cose andavano pensate e fatte, più fatte che pensate, così voleva che fosse e così fu.
Le era venuto in mente Nunzio lo stalliere, che aveva solo pochi anni più di lei, le spalle larghe, le gambe tozze, le mani grandi, il volto stupendo d’avorio ambrato con grandi occhi azzurri e un’aureola di riccioli dorati. Nunzio con il suo volto da normanno e il corpo da sicano sarebbe sembrato la statua vivente dell’Arcangelo Gabriele della Chiesa Madre se gli si fossero tolti i luridi stracci e fatto indossare una tunica di lino come la sua. Ma Nunzio era nato nella plebaglia, anche se magari poteva essere benissimo figlio di qualche signore che si era tolto lo sfizio con la serva.
…Nunzio…Nunzio…Nunzio…Sì, proprio lui !…
Bisognava correre, il crepuscolo aveva lasciato il posto alla notte tiepida e tranquilla, i profumi nell’aria diventavano fragranza magica, era tempo d’osare.
Nunzio dormiva nella stalla, mangiava nella stalla, lì era il suo regno.
Se ne stava sdraiato sul pagliericcio e già era del tutto preso dall’oblio del riposo, poiché, per sua abitudine, si alzava ai primi bagliori mattutini e s’addormentava alle prime ombre della sera, sempre attento a non sprecare neanche un granello del prezioso tempo dedicato al lavoro quotidiano. Nessuno avrebbe dovuto dire che lui campava a sbafo nelle terre del suo padrone. Stanco poi dormiva di schianto, senza nemmeno sognare perché anche i sogni spesso tolgono il riposo. Se così non fosse stato mai si sarebbe perso in un fatto simile.
La fanciulla gli somigliò tanto alla baronessina, ma non era quella cosa lunga, secca e nera di sempre, tutt’altro che seducente pur se andava in giro impaludata in abiti tanto preziosi da far sembrare affascinante anche un tronco d’albero. Costei era stupenda, tutta di bianco vestita! Che fosse un fantasma? Che fosse una fata? Che fosse una strega sotto innocenti sembianze? Fu tutto così strano e sconvolgente, caldo e morbido. Iniziò come un timido tintinnio di pioggia, poi sembrò un temporale, una tempesta devastante e dissetante. Infine di colpo tutto si placò e fu come morire d’ebbrezza. Fu il sonno più profondo di tutti i suoi sonni di pietra.
Concetta si accorse della tunica macchiata e stropicciata, ma non se ne dette troppo pensiero. Quel che invece l’attrasse furono le innumerevoli pagliuzze conficcate nella trama del lino. Prese a staccarle automaticamente con un ritmo incessante. Non sentiva neanche le voci concitate che giungevano dall’esterno. Erano voci di uomini ora stizzite, ora preoccupate, ora ansanti, ora roboanti come cupi tuoni sempre più vicini. Tutto il suo essere rimaneva estraniato. Una pagliuzza dopo l’altra si ripuliva il lieve vestiario, mentre intatte rimanevano tutte le altre intrigate tra i capelli scarmigliati.
Nunzio dormiva, sembrava di marmo: non muoveva le palpebre, non russava, il petto pareva non sollevarsi e dalle narici emettere alcun fiato.
Le voci più sonore che mai avevano improvvisamente mutato tono e ritmo.. Dall’allungato e stridente- Concettaaaaa! - , avevano preso il breve ed imperante:
- Nunzio! Nunzio! Nunzio! -
Finché:
- Arrusbigghiti Nunzio, camina a circari Conce…. -
Oltre la porta della stalla spalancata con un calcio il padre ed i fratelli videro, allibirono, si guardarono tra di loro, tornarono a guardare Concetta e un leone gli ruggì dentro. Era il leone fiero, che, di generazione in generazione, gli avi avevano tramandato con tutti i vessilli dell’onore, ma adesso, ridotto a brandelli, reclamava furiosa vendetta.
Nunzio fu svegliato a calci e improperi. Un altro rivolo di sangue sgorgò dal corpo di Concetta in seguito al ceffone del padre che le aveva spaccato il labbro.
- Chi fu? Chi fu?¬¬- gridava Nunzio cercando di comprendere.
- Fu ca ora ta ‘mpuni e ta porti. O baruni ci damo a so soru Giuseppa ca è chiù bedda e chiù carusa, accussì ‘nta sta casa avemu na monaca e na buttana menu!
Concetta si accorse della tunica macchiata e stropicciata, ma non se ne dette troppo pensiero. Quel che invece l’attrasse furono le innumerevoli pagliuzze conficcate nella trama del lino. Prese a staccarle automaticamente con un ritmo incessante. Non sentiva neanche le voci concitate che giungevano dall’esterno. Erano voci di uomini ora stizzite, ora preoccupate, ora ansanti, ora roboanti come cupi tuoni sempre più vicini. Tutto il suo essere rimaneva estraniato. Una pagliuzza dopo l’altra si ripuliva il lieve vestiario, mentre intatte rimanevano tutte le altre intrigate tra i capelli scarmigliati.
Nunzio dormiva, sembrava di marmo: non muoveva le palpebre, non russava, il petto pareva non sollevarsi e dalle narici emettere alcun fiato.
Le voci più sonore che mai avevano improvvisamente mutato tono e ritmo.. Dall’allungato e stridente- Concettaaaaa! - , avevano preso il breve ed imperante:
- Nunzio! Nunzio! Nunzio! -
Finché:
- Arrusbigghiti Nunzio, camina a circari Conce…. -
Oltre la porta della stalla spalancata con un calcio il padre ed i fratelli videro, allibirono, si guardarono tra di loro, tornarono a guardare Concetta e un leone gli ruggì dentro. Era il leone fiero, che, di generazione in generazione, gli avi avevano tramandato con tutti i vessilli dell’onore, ma adesso, ridotto a brandelli, reclamava furiosa vendetta.
Nunzio fu svegliato a calci e improperi. Un altro rivolo di sangue sgorgò dal corpo di Concetta in seguito al ceffone del padre che le aveva spaccato il labbro.
- Chi fu? Chi fu?¬¬- gridava Nunzio cercando di comprendere.
- Fu ca ora ta ‘mpuni e ta porti. O baruni ci damo a so soru Giuseppa ca è chiù bedda e chiù carusa, accussì ‘nta sta casa avemu na monaca e na buttana menu!
Decretò il padre additandola minaccioso.
Solo allora Nunzio sembrò vederla: era proprio una cosa lunga secca e nera, arruffata come una zingara, sanguinante e dritta come se reggesse sul capo una corona, con gli occhi scintillanti e fieri pur se persi nel vuoto.. La grezza mente di Nunzio non avvezza né a musiche, né ai grandi discorsi, tanto meno alle sagge scritture, ma solo ed unicamente al comando del padrone, insieme al suo istinto primordiale di sopravvivenza gli fecero afferrare subito la situazione. Fu molto più tempestivo di qualsiasi signorotto ben istruito sicchè proferì:
- Comu Vossia cumanna. Stanotti stissa sarà servito. -
Il barone allora sempre più imperioso continuò:
- Pigghiti carrettu e cavaddu! Su tutti i to’, portitilli! -
Poi rivolto alla figlia degenere aggiunse:
- E tu fui, passa da’ casa, arricogghiti i to’ cosi, saluta to’ matri, poi pi’ mia si motta!-
Queste furono le ultime parole che Concetta sentì pronunciare al padre, ma le peggiori furono quelle della madre. Donna Santa attendeva davanti alla porta avvolta in uno scialle scuro dai ricami dorati. Lei tutto già sapeva, glielo aveva suggerito il suo fiuto di madre e di femmina. Non ci vollero spiegazioni. Accolse la figlia in silenzio, la condusse in casa, la fece lavare, vestire e pettinare in modo dimesso come ormai si conveniva alla sua nuova condizione. Infine prese un grande drappo quadrangolare di stoffa damascata color vinaccio. Lo stese sul letto, nel centro vi ripiegò gli indumenti della figlia meno eleganti, lenzuola ed asciugamani di lino, ma senza alcun ricamo, neanche le cifre di famiglia. Infine vi depose una pila di panni quadrangolari orlati di frange sfilate dallo stesso tessuto, erano anch’essi di bianchissimo e purissimo lino e in merito la madre disse:
- I vidi sti pezzi janchi, su’ pi tia e pi to figghi! E chi to manu, chi to manu ti dissi, nenti servitù, chi to manu, appoi, ti l’ha a lavari lordi di merda e di pisciate di to picciriddi, lordi du to sangu e di schifenzie di to maritu. E quannu appoi menti o munnu ‘na figghia fimmina, affughila subbitu, prima ancora di vaddalla. Ogni figghia fimmina è ‘na disgrazia, ricorditillu!-
Così dicendo donna Santa annodò i quattro lembi del drappo e lo porse alla figlia.
- Eccu, cà c’è a to truscia! -
Aggiunse porgendolo alla ragazza e quasi le venne voglia di piangere e d’abbracciarla, di tenersela stretta come quando gliela aveva mostrata la prima volta sua madre dicendole:
- Santuzza, dopu tri figghi masculi beddi comu u suli, sta fimmina laria e niura facisti! Speramu ca è a prima e magari l’uttima e ca javi bonu distinu. -
Il buon destino a questo punto sembrava non averlo avuto e poi non era stata neanche l’ultima. Almeno le sue sorelle erano più belle, secondo i dettami del tempo, ed anche più docili. Pure più “chiuse di testa” erano, ma che gran dote per una donna non essere in grado di far baluginare la propria intelligenza!
Quella invece era nata così, ma donna Santa si era illusa vedendola un po’ aggraziarsi nel crescere e riuscendo a trattare quel matrimonio vantaggioso.
Ma si vede che doveva andare in quel modo: un’altra spina nel cuore dopo la perdita dell’ultimo maschio appena cominciava a muovere i suoi primi passi. Era un frutto tardivo troppo debole, meglio così. Questa era una femmina nata male, che il suo destino si compisse, meglio così.
- Addiu figghia mia. Unu e una due. Quanti ancora ci ni sarannu di vìdire? Tu promettimmillu: affughili tutti i to figghi fimmini!-
Inaspettatamente le baciò la fronte, poi si voltò e corse via. Nessuno aveva mai visto piangere donna Santa, in special modo i suoi figli.
Solo quando la ripudiata Concetta ebbe varcato la soglia, lasciò che lacrime calde le solcassero il viso. Fu cosa di poco, presto se le asciugò strofinandole con il dorso delle mani e, parlando tra sé e sé, disse:
-Amara cu è chiamata matri!” - 2
Poi imperiosa si presentò alla servitù per dare ordini, come se nulla fosse accaduto.
Don Mariano caricò sua figlia sul carro con il disprezzo di una merce scaduta, da togliersi al più presto possibile, prima che puzzasse. Porse a Nunzio un sacchetto tintinnante.
- Non sa a diri mai ca mannu na’ figghia a mòriri di fami, ma scordativi u nomi Nucifora e a vostra discinnenza non l’avi mai a sapire d’unni veni!
Itivvinne versu u mari e non vi fati chiù vìdiri!
Comu Vossia cumanna! - 4Il carro cominciò a scendere lungo la stradina tortuosa. Nunzio pensava che il sacchetto non era poi tanto leggero. In fondo era stato fortunato. Col carro, il cavallo e quel gruzzolo avrebbe potuto intraprendere il mestiere di carrettiere. Scendere verso la costa era la soluzione ideale. Lì i fiorenti commerci marittimi richiedevano un gran numero di carrettieri per il trasporto delle mercanzie in arrivo e in partenza. Concetta era giovane e forte, gli avrebbe certo dato un bel po’ di figli maschi.
Spronò il cavallo, si sentì forte e respirò a pieni polmoni l’aria densa di profumi.
Alle sue spalle il vulcano emetteva spruzzi rossastri, di fronte a lui il mare in lontananza luccicava di striature dorate e l’orizzonte si faceva sempre più chiaro.
Concetta si addormentò stesa sulla paglia del carro. Era l’alba del suo quindicesimo compleanno e sognò.
Sognò lunghe file di panni bianchi stesi al sole come nitide bandiere della sua dignità.
Il suo grembo piatto di ragazza si sarebbe riempito e sgravato numerose volte, ma lei sarebbe sempre rimasta magra forte e diritta, sul capo avrebbe portato come una corona la cesta di panni sudici e con l’incedere di una regina sarebbe andata all’acqua a lavarli. Li avrebbe mondarti d’ogni lordura affidata alle donne: sangue mestruale, urine, feci, sperma, vomiti, catarri…Lei li avrebbe tersi e stesi al sole scintillanti.
Già era giorno chiaro quando Nunzio giunse al piano ed il viavai di carretti era in gran fermento. I carrettieri che si incrociavano riconoscendosi si salutavano.
-’Ngiornu Turi! -
A tia Nunziu! Ma cu c’è supra u carrettu? Chi facisti ti ni fuisti? Ma unni a truvasti tutta peddi e ossa? Che è non ci ni davunu a mangiari meschinedda? -
- Fici n’opira i beni, ma è picciotta, ora s’arricupigghia.
E’ ‘mpezzu ca non ti vidu, chi c’è di novu? -
- Ca nenti, ma di l’autro latu di sta terra socchè s’accumincia a moviri. -
- E chi? -
- Nenti t’aiu dittu! Stamu a vidiri chi succedi! Auguri e figghi masculi Nunziu!-
Spronò il cavallo, si sentì forte e respirò a pieni polmoni l’aria densa di profumi.
Alle sue spalle il vulcano emetteva spruzzi rossastri, di fronte a lui il mare in lontananza luccicava di striature dorate e l’orizzonte si faceva sempre più chiaro.
Concetta si addormentò stesa sulla paglia del carro. Era l’alba del suo quindicesimo compleanno e sognò.
Sognò lunghe file di panni bianchi stesi al sole come nitide bandiere della sua dignità.
Il suo grembo piatto di ragazza si sarebbe riempito e sgravato numerose volte, ma lei sarebbe sempre rimasta magra forte e diritta, sul capo avrebbe portato come una corona la cesta di panni sudici e con l’incedere di una regina sarebbe andata all’acqua a lavarli. Li avrebbe mondarti d’ogni lordura affidata alle donne: sangue mestruale, urine, feci, sperma, vomiti, catarri…Lei li avrebbe tersi e stesi al sole scintillanti.
Già era giorno chiaro quando Nunzio giunse al piano ed il viavai di carretti era in gran fermento. I carrettieri che si incrociavano riconoscendosi si salutavano.
-’Ngiornu Turi! -
A tia Nunziu! Ma cu c’è supra u carrettu? Chi facisti ti ni fuisti? Ma unni a truvasti tutta peddi e ossa? Che è non ci ni davunu a mangiari meschinedda? -
- Fici n’opira i beni, ma è picciotta, ora s’arricupigghia.
E’ ‘mpezzu ca non ti vidu, chi c’è di novu? -
- Ca nenti, ma di l’autro latu di sta terra socchè s’accumincia a moviri. -
- E chi? -
- Nenti t’aiu dittu! Stamu a vidiri chi succedi! Auguri e figghi masculi Nunziu!-
Note: Fu che ora te l’accolli e te la porti. Al barone gli diamo sua sorella Giuseppa che più bella e più giovane, così in questa casa avremo una suora e una puttana in meno.-
- Come Vossia (termine di gran rispetto con il significato di “Vostra Signoria”) comanda. Questa stessa notte sarà servito.-
- Prenditi carretto e cavallo! Sono tutti tuoi! Portateli!-
- E tu corri, passa da casa, raccogli le tue cose, saluta tua madre, poi per me sei morta!-
-Le vedi queste pezze bianche,sono per te e per i tuoi figli! E con le tue mani, con le tue mani ti dissi, niente servitù, con le tue mani, poi, le dovrai lavare sporche di feci e delle pisciate dei tuoi figli, sporche del tuo sangue e delle schifezze di tuo marito. E quando poi metterai al mondo una figlia femmina, affogala subito, prima ancora di guardarla. Ogni figlia femmina è una disgrazia, ricordatelo!-
- Ecco, qua c’è il tuo fagotto!-
- Santuzza, dopo tre figli maschi belli come il sole, questa femmina brutta e nera facesti! Speriamo che sia la prima e anche l’ultima e che abbia un buon destino.-
-1 Addio figlia mia. Uno e una due. Quante ancora ce ne saranno da vedere? Tu promettimelo: affogale tutte le tue figlie femmine!-
-2 Amara chi è chiamata “madre”!
3- Non si debba mai dire che mando una figlia a morire di fame, ma dimenticatevi il nome Nucifora e la vostra discendenza non dovrà mai sapere da dove proviene! Andatevene verso il mare e non vi fate più vedere!-
4 - Come Vossia comanda.-
- Buongiorno Turi!-
- A te Nunzio! Ma chi c’è sopra il carretto? Che facesti te ne “fuggisti”( termine siciliano per indicare che un uomo e una donna andavano a convivere prima del matrimonio. In genere, infatti, la donna scappava di casa di nascosto o veniva rapita di nascosto dall’uomo). Ma dove l’hai trovata tutta pelle e ossa? Che facevano non le davano da mangiare poveretta?-
- Ho fatto un’opera di bene, ma è una ragazza, ora si riprenderà.-
- E’ un pezzo che non ti vedo, che c’è di nuovo?-
- E chi? -
- Nenti t’aiu dittu! Stamu a vidiri chi succedi! Auguri e figghi masculi Nunziu!-
- Come Vossia (termine di gran rispetto con il significato di “Vostra Signoria”) comanda. Questa stessa notte sarà servito.-
- Prenditi carretto e cavallo! Sono tutti tuoi! Portateli!-
- E tu corri, passa da casa, raccogli le tue cose, saluta tua madre, poi per me sei morta!-
-Le vedi queste pezze bianche,sono per te e per i tuoi figli! E con le tue mani, con le tue mani ti dissi, niente servitù, con le tue mani, poi, le dovrai lavare sporche di feci e delle pisciate dei tuoi figli, sporche del tuo sangue e delle schifezze di tuo marito. E quando poi metterai al mondo una figlia femmina, affogala subito, prima ancora di guardarla. Ogni figlia femmina è una disgrazia, ricordatelo!-
- Ecco, qua c’è il tuo fagotto!-
- Santuzza, dopo tre figli maschi belli come il sole, questa femmina brutta e nera facesti! Speriamo che sia la prima e anche l’ultima e che abbia un buon destino.-
-1 Addio figlia mia. Uno e una due. Quante ancora ce ne saranno da vedere? Tu promettimelo: affogale tutte le tue figlie femmine!-
-2 Amara chi è chiamata “madre”!
3- Non si debba mai dire che mando una figlia a morire di fame, ma dimenticatevi il nome Nucifora e la vostra discendenza non dovrà mai sapere da dove proviene! Andatevene verso il mare e non vi fate più vedere!-
4 - Come Vossia comanda.-
- Buongiorno Turi!-
- A te Nunzio! Ma chi c’è sopra il carretto? Che facesti te ne “fuggisti”( termine siciliano per indicare che un uomo e una donna andavano a convivere prima del matrimonio. In genere, infatti, la donna scappava di casa di nascosto o veniva rapita di nascosto dall’uomo). Ma dove l’hai trovata tutta pelle e ossa? Che facevano non le davano da mangiare poveretta?-
- Ho fatto un’opera di bene, ma è una ragazza, ora si riprenderà.-
- E’ un pezzo che non ti vedo, che c’è di nuovo?-
- E chi? -
- Nenti t’aiu dittu! Stamu a vidiri chi succedi! Auguri e figghi masculi Nunziu!-
Brani tratti qua e là: "
...Dall’ altra parte del modo tutto doveva essere senz’altro migliore.
Un anno dopo erano sulla nave. Pia vomitò durante tutto il viaggio per il mal di mare o per la creatura che portava in grembo, di preciso non lo seppe mai.
Nel lungo periodo della navigazione cercarono d’imparare la nuova lingua, questa volta non volevano arrivare del tutto sprovveduti, ma sembrava ancora più ostica del francese.
Del resto avevano pagato un supplemento del biglietto per avere quest’ addestramento e lo avevano fatto ben volentieri per non doversi presentare come ignoranti mentecatti. Stavolta bisognava essere accorti ed iniziare tutto per benino.
Era il 1911 quando la piccola Mary nacque americana e prematura, delicatissima e bianca come una bambolina di porcellana.
Visse solo sei mesi durante i quali Pia non poté recarsi al lavoro e Gigi ebbe da sgobbare giorno e notte per tirare avanti.
Mary se ne andò in silenzio, un piccolo fagotto deposto sotto la terra dell’Illinois ed i suoi genitori più che dolore provarono un senso d’annientamento, come la paralisi di ogni emozione e così spenti ed aridi si dedicarono esclusivamente a far soldi. Se la miseria si era portata via la piccola Mary, loro la miseria l’avrebbero uccisa per vendetta.
Fu un sentimento che coltivarono per tutta la loro vita, sempre attaccati ai beni materiali e così attenti a non sperperarli fino a toccare la più accanita tirchieria. Il raggranellare, il mettere da parte il “far di conto” divenne la loro tacita filosofia di vita."
Un anno dopo erano sulla nave. Pia vomitò durante tutto il viaggio per il mal di mare o per la creatura che portava in grembo, di preciso non lo seppe mai.
Nel lungo periodo della navigazione cercarono d’imparare la nuova lingua, questa volta non volevano arrivare del tutto sprovveduti, ma sembrava ancora più ostica del francese.
Del resto avevano pagato un supplemento del biglietto per avere quest’ addestramento e lo avevano fatto ben volentieri per non doversi presentare come ignoranti mentecatti. Stavolta bisognava essere accorti ed iniziare tutto per benino.
Era il 1911 quando la piccola Mary nacque americana e prematura, delicatissima e bianca come una bambolina di porcellana.
Visse solo sei mesi durante i quali Pia non poté recarsi al lavoro e Gigi ebbe da sgobbare giorno e notte per tirare avanti.
Mary se ne andò in silenzio, un piccolo fagotto deposto sotto la terra dell’Illinois ed i suoi genitori più che dolore provarono un senso d’annientamento, come la paralisi di ogni emozione e così spenti ed aridi si dedicarono esclusivamente a far soldi. Se la miseria si era portata via la piccola Mary, loro la miseria l’avrebbero uccisa per vendetta.
Fu un sentimento che coltivarono per tutta la loro vita, sempre attaccati ai beni materiali e così attenti a non sperperarli fino a toccare la più accanita tirchieria. Il raggranellare, il mettere da parte il “far di conto” divenne la loro tacita filosofia di vita."
Lei, quando lui la vide, indossava i calzoncini bianchi su un corpo longilineo abbronzantissimo, il sole le aveva reso i capelli d’un biondo abbagliante, il suo sorriso pareva luccicasse tra l’incarnato color miele ambrato, la sua voce dolce e argentina, con un’accattivante inflessione toscana, era rivolta ai bimbetti che correvano di qua e di là.
Lui era moro, magro,con i lineamenti regolari, lo sguardo profondo e altero, ma soprattutto molto interessante per via della scura uniforme che gli conferiva un non so che di solenne.
Lei apparve a lui come una star del cinema americano, una creatura da perderci la testa.
Anche lei ebbe la stessa impressione di lui e lo identificò subito con il suo attore preferito: Gregory Peck.
Fu un’attrazione reciproca, fulminante e ineluttabile tra l’odore salmastro, la luce accecante, lo sciabordio delle onde coperto a tratti dal vociare dei bambini.
Si guardarono, si presentarono, i battiti cardiaci accelerarono, ma si diedero un contegno. Parlarono del più e del meno e fissarono un appuntamento per approfondire meglio i discorsi.
Quando si rincontrarono lui, era in borghese, aveva perso già un po’ del suo fascino e i discorsi a ruota libera mettevano troppo in risalto la dizione meridionale. Lei con il vestitino a fiori, il rossetto ed i capelli tirati in su aveva un’aria molto sofisticata, che stonava con il parlare piuttosto frivolo. Nonostante ciò la prima impressione era stata così incisiva da non dar troppo peso ai dettagli che emersero in seguito.
Lui era moro, magro,con i lineamenti regolari, lo sguardo profondo e altero, ma soprattutto molto interessante per via della scura uniforme che gli conferiva un non so che di solenne.
Lei apparve a lui come una star del cinema americano, una creatura da perderci la testa.
Anche lei ebbe la stessa impressione di lui e lo identificò subito con il suo attore preferito: Gregory Peck.
Fu un’attrazione reciproca, fulminante e ineluttabile tra l’odore salmastro, la luce accecante, lo sciabordio delle onde coperto a tratti dal vociare dei bambini.
Si guardarono, si presentarono, i battiti cardiaci accelerarono, ma si diedero un contegno. Parlarono del più e del meno e fissarono un appuntamento per approfondire meglio i discorsi.
Quando si rincontrarono lui, era in borghese, aveva perso già un po’ del suo fascino e i discorsi a ruota libera mettevano troppo in risalto la dizione meridionale. Lei con il vestitino a fiori, il rossetto ed i capelli tirati in su aveva un’aria molto sofisticata, che stonava con il parlare piuttosto frivolo. Nonostante ciò la prima impressione era stata così incisiva da non dar troppo peso ai dettagli che emersero in seguito.
"Quel posto magico la faceva sognare. Bastava sdraiarsi sul materasso sporco, strappato e scricchiolante per via dell’imbottitura fatta con le spoglie di granturco, chiudere gli occhi e tutto diventava possibile.
Spesso si immaginava da grande con i capelli raccolti a banana, i tacchi a spillo e padrona assoluta di quella casa. Sognava le tende nuove e i suoi due figli: un maschio e una femmina. Nessun marito appariva i quello scenario, era una presenza sottointesa che non aveva al momento bisogno d’essere delineata nei particolari.
I suoi bambini, invece, possedevano già tutti i dettagli: la bimba aveva le caratteristiche di Irina, il bimbo quelle di Adelfo. Lei da gran signora si raggirava nei rinnovati locali insieme ai figlioli che amorevolmente accudiva.
Quella casa era per Ada il proprio guscio ed il proprio ventre che attendeva i suoi figli futuri, così come intuiva che doveva essere stata ancor prima per sua madre.
I suoi giovani occhi ne avevano già fotografato indelebilmente ogni dettaglio, il suo olfatto aveva memoria di ogni ambiente, dal lezzo animalesco della stalla, dalle fragranze di vino e aceto della cantina, di minestrone e pan tostato in cucina, di lavanda e borotalco in camera da letto. In certi cassetti c’erano poi delle esalazioni particolari a seconda di chi appartenevano. Nel cassetto del nonno c’era odore di pipa, tabacco e sapone da barba.
Nel cassetto della madre s’annusavano profumi vari tra fragranze di creme e rossetti.
Nel suo c’era l’odore della paperetta di gomma da far galleggiare nella tinozza del bagno. “ Così grande e ancora così citrulla” le dicevano, ma lei amava tale rituale e non voleva rinunciarci per le sciocche conclusioni dei grandi.
In quello della nonna si sentiva un odore eccezionale che metteva l’acquolina in bocca. Se si andava ad aprire la scatola dove venivano riposti i fazzoletti, tirando su il coperchio, dove era raffigurato un ciuco tutto infiocchettato che tirava un carretto dipinto con figure armate di spada, da lì si propagava un profumino di leccornie da venir voglia d’intingervi un dito e leccarselo. Quando aveva chiesto cosa mai avesse contenuto prima d’allora di tanto buono quella scatola, la nonna le aveva risposto:
- Non star sempre lì a ficcare il naso dappertutto. Se proprio lo vuoi sapere te lo dico, se no fai ammattire a furia di chiederlo. Sappi che prima c’erano le paste reali. Sono dolci siciliani belli a vedersi sicché somigliano tanto alla frutta vera da confonderti, hanno anche il bel profumino che c’è rimasto, ma non sono buone da mangiare, tanto sono dolci che ti fanno venire la nausea. Adesso chiudi e lascia stare che non ne è rimasta neanche una.-
- Ma se non erano buone da mangiare…-
- Le detti a qualcun altro che le trovò squisite e mi ci feci anche degli amici.-
- Perché a me no?-
- Di quella roba della “Bassa” meno me mangi e meglio è, chissà che intrugli ci mettono e ora basta che non ti voglio più sentire.-
I rumori che si udivano in quella casa erano altrettanto allettanti. Ad Ada piaceva in particolar modo il rumore delle auto sulla strada. La notte quando stentava a pigliar sonno, quei suoni, che dapprima giungevano tenui, si andavano rinforzando fino a raggiungere il massimo sotto la finestra per poi smorzarsi fino a svanire in attesa che ne sopraggiungessero altri, la cullavano meglio di una ninnananna.
Il cigolio della pompa dell’acquaio della cucina, lo sbraitare di suo nonno con quella cantilena di Madonne, il borbottare continuo della nonna, che accompagnava tutte le sue azioni con continue lamentele di autocommiserazione “O povera me”, “Ohi me”, “O che si sta a vedere a questo mondo”…
Tutto ciò assorbiva la casa , di tutto ciò si nutriva e lo metabolizzava in energia nuova per diventare un essere vivo e palpitante.
Ada sapeva che era la sua casa, che lo sarebbe stata per sempre, diventare orfana per lei significava perdere l’abbraccio di quelle mura."
Spesso si immaginava da grande con i capelli raccolti a banana, i tacchi a spillo e padrona assoluta di quella casa. Sognava le tende nuove e i suoi due figli: un maschio e una femmina. Nessun marito appariva i quello scenario, era una presenza sottointesa che non aveva al momento bisogno d’essere delineata nei particolari.
I suoi bambini, invece, possedevano già tutti i dettagli: la bimba aveva le caratteristiche di Irina, il bimbo quelle di Adelfo. Lei da gran signora si raggirava nei rinnovati locali insieme ai figlioli che amorevolmente accudiva.
Quella casa era per Ada il proprio guscio ed il proprio ventre che attendeva i suoi figli futuri, così come intuiva che doveva essere stata ancor prima per sua madre.
I suoi giovani occhi ne avevano già fotografato indelebilmente ogni dettaglio, il suo olfatto aveva memoria di ogni ambiente, dal lezzo animalesco della stalla, dalle fragranze di vino e aceto della cantina, di minestrone e pan tostato in cucina, di lavanda e borotalco in camera da letto. In certi cassetti c’erano poi delle esalazioni particolari a seconda di chi appartenevano. Nel cassetto del nonno c’era odore di pipa, tabacco e sapone da barba.
Nel cassetto della madre s’annusavano profumi vari tra fragranze di creme e rossetti.
Nel suo c’era l’odore della paperetta di gomma da far galleggiare nella tinozza del bagno. “ Così grande e ancora così citrulla” le dicevano, ma lei amava tale rituale e non voleva rinunciarci per le sciocche conclusioni dei grandi.
In quello della nonna si sentiva un odore eccezionale che metteva l’acquolina in bocca. Se si andava ad aprire la scatola dove venivano riposti i fazzoletti, tirando su il coperchio, dove era raffigurato un ciuco tutto infiocchettato che tirava un carretto dipinto con figure armate di spada, da lì si propagava un profumino di leccornie da venir voglia d’intingervi un dito e leccarselo. Quando aveva chiesto cosa mai avesse contenuto prima d’allora di tanto buono quella scatola, la nonna le aveva risposto:
- Non star sempre lì a ficcare il naso dappertutto. Se proprio lo vuoi sapere te lo dico, se no fai ammattire a furia di chiederlo. Sappi che prima c’erano le paste reali. Sono dolci siciliani belli a vedersi sicché somigliano tanto alla frutta vera da confonderti, hanno anche il bel profumino che c’è rimasto, ma non sono buone da mangiare, tanto sono dolci che ti fanno venire la nausea. Adesso chiudi e lascia stare che non ne è rimasta neanche una.-
- Ma se non erano buone da mangiare…-
- Le detti a qualcun altro che le trovò squisite e mi ci feci anche degli amici.-
- Perché a me no?-
- Di quella roba della “Bassa” meno me mangi e meglio è, chissà che intrugli ci mettono e ora basta che non ti voglio più sentire.-
I rumori che si udivano in quella casa erano altrettanto allettanti. Ad Ada piaceva in particolar modo il rumore delle auto sulla strada. La notte quando stentava a pigliar sonno, quei suoni, che dapprima giungevano tenui, si andavano rinforzando fino a raggiungere il massimo sotto la finestra per poi smorzarsi fino a svanire in attesa che ne sopraggiungessero altri, la cullavano meglio di una ninnananna.
Il cigolio della pompa dell’acquaio della cucina, lo sbraitare di suo nonno con quella cantilena di Madonne, il borbottare continuo della nonna, che accompagnava tutte le sue azioni con continue lamentele di autocommiserazione “O povera me”, “Ohi me”, “O che si sta a vedere a questo mondo”…
Tutto ciò assorbiva la casa , di tutto ciò si nutriva e lo metabolizzava in energia nuova per diventare un essere vivo e palpitante.
Ada sapeva che era la sua casa, che lo sarebbe stata per sempre, diventare orfana per lei significava perdere l’abbraccio di quelle mura."
"Decise d’accettare, aprì la portiera della macchina e salì: il suo destino si era compiuto. Tutti gli eventi della sua vita e delle altre vite, da cui discendeva, l’avevano condotta fin lì perché la storia avesse un seguito e generasse altre storie nell’infinito intrigo della vita."
"Anche l’album delle foto di mamma fu rigirato per ore ed ore. Lo maneggiava stranamente con cura, facendo attenzione a non sgualcire la carta velina, che ricopriva ogni pagina. Quando lo chiudeva ne accarezzava la copertina di cuoio indugiando con le piccole dita tra rilievi ed incisioni.
- Posso portarlo con me in Sicilia?-
Si azzardò un giorno a dire.
- Te lo darei tanto volentieri, ma chi la sente la tua mamma quando torna? Poi magari te lo porterà giù lei.-
Le rispose la nonna.
-Tu glielo dirai?-
- O bimba, ora te lo prometto, ma lo sai che son vecchia e alle volte non mi par più di riordammi dalla bocca al naso.-
Ada aveva preso gusto a sfogliarlo nell’angusto angolino del sottoscala al piano terra. Nel punto più basso tra il pavimento ed il soffitto inclinato c’era una fessura fonda e larga quel tanto che bastava per contenere e nascondere l’album alla vista. La bambina lo riponeva lì in attesa d’andarlo a riprendere, ma finì che ci rimase per quasi sette lustri.
Le belle foto dei tempi andati, rimasero nascoste così a lungo che il tempo diede loro un magico ritocco. Ancor oggi le foto salvate sono soffuse da una luce d’oro, la stessa che luccica nei ricordi di chi è rimasto per raccontare.
Quando la disperazione e la rabbia fecero sì che Irina si liberasse di ogni traccia del passato, compreso il dipinto dell’angelica sorella, le foto rimasero lì rincantucciate, tutt’uno con le mura della casa.
Quelle che sfuggirono al marciume dell’umidità e ai morsi dei topi restarono a testimoniare la pargola bellezza bionda di sua madre, i volti del nonno e della nonna non ancora disfatti dalle rughe, lo zio che non conobbe mai. Ed ancora Irina scolaretta , Irina adolescente, Irina al mare, Irina innamorata d’un giovanotto moro, Irina splendida nell’abito da sposa, Irina madre con una bimba bruna in collo. E di seguito i primi compleanni di Ada, i suoi primi travestimenti a Carnevale, la sua Prima Comunione e lì finivano. Nella maggior parte di casi lo sfondo delle foto era la casa con i suoi ambienti interni ed esterni, i suoi mobili, le sue pareti, i suoi pavimenti di marmo a giochi geometrici od a intrecci di fiori. La casa, in tutta la sua sontuosità, gioiva ad esser complice d’uno scenario perfetto anche per il più prestigioso dei fotografi. "
- Posso portarlo con me in Sicilia?-
Si azzardò un giorno a dire.
- Te lo darei tanto volentieri, ma chi la sente la tua mamma quando torna? Poi magari te lo porterà giù lei.-
Le rispose la nonna.
-Tu glielo dirai?-
- O bimba, ora te lo prometto, ma lo sai che son vecchia e alle volte non mi par più di riordammi dalla bocca al naso.-
Ada aveva preso gusto a sfogliarlo nell’angusto angolino del sottoscala al piano terra. Nel punto più basso tra il pavimento ed il soffitto inclinato c’era una fessura fonda e larga quel tanto che bastava per contenere e nascondere l’album alla vista. La bambina lo riponeva lì in attesa d’andarlo a riprendere, ma finì che ci rimase per quasi sette lustri.
Le belle foto dei tempi andati, rimasero nascoste così a lungo che il tempo diede loro un magico ritocco. Ancor oggi le foto salvate sono soffuse da una luce d’oro, la stessa che luccica nei ricordi di chi è rimasto per raccontare.
Quando la disperazione e la rabbia fecero sì che Irina si liberasse di ogni traccia del passato, compreso il dipinto dell’angelica sorella, le foto rimasero lì rincantucciate, tutt’uno con le mura della casa.
Quelle che sfuggirono al marciume dell’umidità e ai morsi dei topi restarono a testimoniare la pargola bellezza bionda di sua madre, i volti del nonno e della nonna non ancora disfatti dalle rughe, lo zio che non conobbe mai. Ed ancora Irina scolaretta , Irina adolescente, Irina al mare, Irina innamorata d’un giovanotto moro, Irina splendida nell’abito da sposa, Irina madre con una bimba bruna in collo. E di seguito i primi compleanni di Ada, i suoi primi travestimenti a Carnevale, la sua Prima Comunione e lì finivano. Nella maggior parte di casi lo sfondo delle foto era la casa con i suoi ambienti interni ed esterni, i suoi mobili, le sue pareti, i suoi pavimenti di marmo a giochi geometrici od a intrecci di fiori. La casa, in tutta la sua sontuosità, gioiva ad esser complice d’uno scenario perfetto anche per il più prestigioso dei fotografi. "
"Figli miei, tutto ciò che vi ho raccontato è la mia eredità, con questo vi consegno le chiavi del passato, ma date ascolto a voci, che ancora vorrebbero dire:
- Apritelo con garbo.-
-Tiniti a cura! -
Io aggiungo soltanto:
- Fatelo con discrezione.- …"
- Apritelo con garbo.-
-Tiniti a cura! -
Io aggiungo soltanto:
- Fatelo con discrezione.- …"
L'AUTRICE AGGIUNGE:
Con questa scelta di brani spero d'avere reso un'idea dello spirito del romanzo che è molto di più perchè si svolge per 316 pagine. Gradirei che visitaste il mio blog per interagire nei vari argomenti e per poter approfondire sulla home page tutto ciò che riguarda il mio romanzo. Ci sono le varie presentazioni e i lavori dei relatori. C'è una parte dedicata anche ad una raccolta di mie poesie più o meno recenti". Vi aspetto: http://www.lefotosalvate.com/toscapagliari
<< Con questo ho finito, grazie di cuore!>>
Noi le rispondiamo:
<< Grazie di cuore a te!>>
<< Grazie di cuore a te!>>
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